La corsa contro il tempo del felino più veloce della Terra non si arresta, anche se i dati continuano ad essere impietosi. I circa 6.600 esemplari adulti rimasti a sopravvivere oggi in Africa erano 100.000 un secolo fa. Un declino che finora ha raggiunto il 90% degli individui e che, aggravato dalla frammentazione degli habitat, sta portando la specie a livelli di consanguineità che gli esperti chiamano “collo di bottiglia”. Ovvero, l’anticamera dell’estinzione. Ma una speranza c’è e risiede in quella che la scienza chiama “human care”. Sarà l’uomo, lo stesso che ne ha determinato la crisi, a salvare questi animali. Perché a fronte del numero che sopravvive in natura, nei parchi zoologici del Mondo se ne contano 1.730 (2018, ResearchGate). Un vero e proprio piano B, in vista dell’estinzione.
I numeri sono emanati dal Parco Natura Viva di Bussolengo all’alba della Giornata Internazionale del Ghepardo che cade domani, 4 dicembre. Istituita 11 anni fa dal Cheetah Conservation Fund, la più importante organizzazione al mondo per la tutela di questa specie, guidata da Laurie Marker. “In altre parole – spiega Cesare Avesani Zaborra, CEO del Parco Natura Viva – mentre in natura i ghepardi vanno scomparendo, in ambiente controllato ne conserviamo un numero importante di individui. Questo significa che abbiamo a disposizione un enorme patrimonio genetico in grado di far fronte alla situazione peggiore. Cioè all’estinzione totale, che è matematica se il trend non si inverte”. Oggi il numero di ghepardi rimasti è sufficiente per occupare appena il 9% del loro areale originario e si concentra per un terzo in Africa meridionale. Dove l’espansione delle attività umane non solo impedisce agli esemplari di incontrarsi, ma inasprisce anche il conflitto con l’agricoltura. “Se l’uomo sottrae spazio vitale alla fauna selvatica, entra in contatto più facilmente con i grandi predatori come il ghepardo. Da qui si innescano episodi frequenti di bracconaggio, che si sta cercando di arginare grazie ai cani da guardiania. Soprattutto pastori Kangal, che proteggono il bestiame tenendo a distanza i ghepardi. Con una riduzione degli attacchi dell’80-100%”. Ma le minacce non sono finite: a tutto questo si aggiunge il fatto che si tratta di un felino molto richiesto nel commercio illegale di animali da compagnia, per la sua capacità di adattarsi all’uomo. “Dobbiamo invertire la tendenza registrata dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura. Ma quando sarà opportuno procedere alle reintroduzioni in natura, noi siamo pronti”, conclude Avesani Zaborra.
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