Il barbagianni torna a popolare la pianura padana. E i suoi resti alimentari raccontano ai ricercatori anche le sue abitudini di caccia. Sono emersi i primi dati del progetto che ha previsto l’installazione di 10 nidi tra fienili, sottotetti e antichi edifici dell’aperta campagna bresciana, realizzato dal Parco Natura Viva grazie al supporto di Italmark. In un territorio in cui il barbagianni ha perso il 50% degli esemplari negli ultimi tre decenni, l’obiettivo è offrire una casa a questa specie per ripristinare l’originaria convivenza tra il rapace notturno e le attività agricole. Ad analizzare i campioni scientifici è l’Università di Bologna, con il team guidato dal prof. Mauro Delogu.
Ossa di storno comune e ratto bruno. Questo il contenuto delle borre che i ricercatori hanno rinvenuto nei nidi dopo aver lasciato agli uccelli il tempo necessario per colonizzarli. Materiale organico compatibile con le predazioni del barbagianni, diverso dalle abitudini alimentari testimoniate invece dai resti di civette e assioli, “proprietari” di ciò che resta di insetti, passeriformi e arvicole. “Raccogliere, aprire e poi identificare il materiale rigurgitato dagli uccelli (per lo più peli, penne e ossa non digeriti), rimane il metodo più pertinente per capire con esattezza quale specie abiti un certo luogo”, spiega Cesare Avesani Zaborra, biologo e CEO del Parco Natura Viva di Bussolengo. “E dal primo anno di monitoraggio, i risultati ci dicono che sono stati 3 i nidi frequentati dal barbagianni. E in uno di questi, il sopralluogo di fine anno ha verificato la presenza di una coppia di barbagianni. La previsione è che la stagione riproduttiva imminente possa vedere il ritorno degli stessi e di nuovi esemplari”. E non è tutto, perché l’installazione di questi rifugi ha favorito la frequentazione anche di altri due rapaci tipici della biodiversità della pianura padana. “Otto civette e due assioli – prosegue il CEO – hanno trovato molto confortevoli le nostre casette-nido, testimoniando una volta di più che quando si ripristina anche solo un elemento dell’equilibrio naturale, a beneficiarne è sempre l’intero ecosistema”.
“Un ringraziamento speciale va ai consumatori che decidendo di sostenere il progetto, hanno permesso di avviarlo. E alle aziende agricole, che hanno deciso di mettere a disposizione del barbagianni per proprie aree” aggiunge Mauro Odolini, sustainability manager di Italmark, l’azienda lombarda che ha ideato e voluto il progetto di tutela per il barbagianni. “Tutte le installazioni sono avvenute su proprietà private. E questo testimonia che la comunità locale è coinvolta in prima persona nel ripristino degli ecosistemi agricoli del nostro territorio. Si può fare ancora molto e si tratta di un progetto di lungo periodo, che toccherà anche l’educazione dei ragazzi nelle scuole e il recupero degli esemplari feriti”. A coadiuvare le attività infatti c’è anche il centro di recupero di fauna selvatica “Il Pettirosso” di Modena, che cura barbagianni feriti e li rilascia nelle aree di provenienza dopo l’opportuna riabilitazione. “Spesso non serve andare in luoghi lontani del Pianeta. Molti dei nostri territori possono aver bisogno del nostro aiuto”, conclude Avesani Zaborra.